
La complicità dell’UE nel caso Amazzonia
La complicità dell’UE nel caso Amazzonia è stata svelata in quasi tutti i suoi aspetti. La puntata di Presa Diretta della Rai andata in onda lunedì 8 febbraio sembrava, tanto come titolo (Guerra all’Amazzonia) quanto come contenuti, un reportage scaturito da uno dei post di Impakter Italia sull’argomento: “Amazzonia sotto attacco, Bolsonaro dà via libera alla deforestazione” di Stefano Iannaccone del 1 agosto del 2019.
Perchè in quel post c’erano tutti gli elementi della devastante politica del presidente Bolsonaro nei confronti di quello che in molti, anche scienziati chiamano “il polmone verde del pianeta” frase che fa arrabbiare in tanti, negazionisti ed esperti “fai da te perchè ho letto su internet che… ” i quali rifiutano il fatto che alcune frasi servono a portare all’attenzione dell’opinione pubblica e della politica le dimensioni di un problema perchè si intervenga. O si tenti di farlo. Ed in Europa forse non si tenta nemmeno.

Le complicità dell’UE nel caso Amazzonia -CC0, public domain, royalty free
La catena dell’illegalità che arriva sulle nostre tavole
Tutto nasce dalla deforestazione dell’Amazzonia. Dal 1970 ad oggi è stato distrutto il 20 per cento del territorio originale. In realtà si era iniziato dagli anni’40 ma la difficoltà di arrivare in certe zone, la minore necessità di legname e le diverse esigenze dell’agricoltura non avevano ancora creato il concetto di “distruzione intensiva” che poi ha preso piede. Grazie alla compiacenza di governi sempre più accomodanti perchè sostenuti dagli imprenditori prima della carne, poi anche della soia.
Perchè dare fuoco alla foresta serve a creare terreni per gli allevamenti di bovini e per le coltivazioni di soia che rendono miliardi di dollari. Soprattutto la soia che serve all’alimentazione degli animali d’allevamento, ma anche come fertilizzante e nell’industria, per esempio quella dei cosmetici, per non parlare dell’alimentazione dell’uomo. Ed è tutto molto illegale. E di conseguenza lo è quello che ne consegue: la lavorazione, il trasporto, l’esportazione per gli utilizzatori finali.
Il legname che arriva dal Brasile è – o meglio era – non solo di tipo comune ma anche di qualità elevatissima: palissandro, mogano, ipè ed il pernambuco. Come ci riguarda tutto questo? Beh la notizia riportata dall’Ansa il 1 ottobre del 2018 dà un quadro, anche se su scala ridotta, di quanto noi Italiani ci siamo dentro con uno di quei gioielli per i quali ci facciamo belli e grandi nel mondo: i violini di Cremona.

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Perchè l’Europa accetta merce illegale
Perchè i criminali sono sempre un passo avanti ai controlli, alle forze dell’ordine che a loro volta sono sempre in numero inferiore a quel che servirebbe. Basta guardare in questo caso, al depotenziamento che il governo Bolsonaro ha fatto della polizia ambientale brasiliana, l’IBAMA, che in tre anni è arrivata ad un budget ridotto del 25 per cento.
E poi c’è la questione della legislazione. Che rientra negli accordi col Mercosur (il Mercato comune dell’America del Sud) tra l’Unione Europea ed i paesi sudamericani che prevede un accordo di libero scambio che consentirà importazioni a dazio zero di prodotti che fanno concorrenza alle produzioni nostrane. Cosa importiamo dal Brasile quindi? Pesce, prodotti delle miniere, alimentari, legna, carne, soia ovviamente, ma anche carta, metalli, prodotti chimici, mobili e tanto altro.

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La carne brasiliana di cui non sappiamo nulla
L’Italia è il primo paese europeo per importazione di carne dal Brasile: un milione di tonnellate. Che ci facciamo? In gran parte, anzi per la maggior parte, questa carne finisce nei lavorati che vengono utilizzati da mense, ristoranti, alberghi e servizi di catering. Ma se questa carne nn è conforme alle direttive europee? C’è il sistema di allerta rapido dell’Unione Europea : “Ogni giorno la Commissione europea riceve da parte delle amministrazioni nazionali segnalazioni riguardanti prodotti pericolosi reperiti nei rispettivi mercati. Tali segnalazioni vengono inviate attraverso il sistema di allerta rapido per i prodotti non alimentari pericolosi, il cosiddetto “Safety Gate“. Comprendono informazioni sulla tipologia di prodotti trovati, i rischi che pongono e le misure adottate a livello nazionale per prevenire o limitare la loro commercializzazione”.
Nel 2020 ci sono state solo 30 segnalazioni di allarme sulla carne del Brasile, eccole a questo link. Quindi va tutto bene? No perchè il problema vero – e dunque il trucco della criminalità organizzata – sta nelle etichette. Partiamo da un fatto che allora fu definito storico: nel 2000 la carne bovina è stata la prima ad avere una normativa europea, all’indomani dello scandalo mucca pazza: fu imposto l’obbligo di dichiarare l’origine della carne fresca, per cui oggi su queste etichette si trova il Paese dove l’animale è nato, allevato e macellato.
Ciò di cui non c’è traccia nella legislazione è il settore dei preparati a base di carne: pasta ripiena, i sughi pronti al ragù e i brodi di carne, i surgelati, gli insaccati di vario tipo, prodotti per l’infanzia. Per tutti questi non è richiesto dichiarare l’origine della carne.
Parliamo di guadagni a nove zeri ogni anno per tutti coloro che sono coinvolti. Una sorta di “lobby” potentissima che ovviamente fa pressione perchè le cose non cambino. Cosa fare allora per un consumatore? Fare scelte attente, non comprare i prodotti la cui origine non sia certificata legalmente. Ma non basta. Serve una legislazione internazionale trasparente e sanzioni molto severe per chi non rispetta la legge. Tornando al punto di partenza, il Brasile, l’Amazzonia: chi brucia un territorio in modo illegale, viene messo in carcere solo se colto in flagranza di reato. Ed anche in questo caso al massimo si fa due anni. Ricominciamo da qui?